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Immagine del redattoreMichele Stianti

Semplicemente, Christian Riganò. | Intervista Riganò

Christian, partiamo dalle tue origini. Tu sei nato a Lipari, nell'arcipelago delle Eolie. Come si vive il calcio sull'isola e come è nata la tua passione?


"La passione è un qualcosa che non puoi inventare, viene sin da bambini e viene coltivata nelle strade. Una volta, ma neanche oggi, ci sono centri di formazione per i giovani, e quindi le strade erano i nostri campi."


Riganò

Il gol è stato il tuo pane quotidiano, però fino in prima categoria avevi giocato come difensore centrale, poi un bel giorno spostato davanti. Com'è andata la storia?


"Io nasco difensore da sempre, però nelle partitelle di allenamento mi piaceva giocare davanti e fare gol. Il difensore l'ho fatto fino in Eccellenza, poi ci fu un "problema attaccanti" e allora si provò a mettermi lì davanti per necessità. Segnai 17 gol e da lì

non tornai più indietro. Questa è la storia."


Da lì poi, dopo diverse tappe anche importanti, c'è stata Taranto. Che esperienza è stata?


"Come dico sempre, senza Taranto non ci sarebbe stato tutto il resto. La prima stagione da esordiente in C2 segnai 14 gol e poi l'anno successivo in C1 ne segnai 27 in 32 partite. La media era abbastanza buona..."

Poi Firenze, nell'estate 2002, con l'arrivo l'ultimo giorno di mercato dal Taranto per 1,5 milioni di €. In un'intervista a Repubblica del 1 settembre dicebi che giocare con la maglia che era stata di Batistuta era una sensazione strana, grandissima, ma che non si poteva più pensare ai vari Batistuta, Rui Costa, Toldo, e che non si può vivere di ricordi.


Quanto disagio c'era nel sentirsi paragonati a quella Fiorentina, o alcontrario, quanto orgoglio c'era nel rappresentare una squadra così importante?


"C'era tanto tanto orgoglio e poco disagio, avevo una maglia importante addosso, sapevo delle aspettative su di me, ma avevo già 28 anni e le spalle abbastanza larghe. La cosa più bella per me però è stata la gente che mi ha adottato come se fossi stato Batistuta, anche se in realtà non lo ero. La gente aveva bisogno di aggrapparsi a qualcuno in un momento di tristezza. Si aggrapparono a me in una maniera incredibile. Tanto è vero che dedicarono anche a me il coro che dedicano a Bati."


Il primo anno in C2 30 gol in 32 partite e campionato dominato. Com'era quella Fiorentina dal punto di vista tecnico/tattico?


"Era una squadra di categoria, a parte Di Livio. C'erano giovani di belle speranze, che poi sono andati via perché non c'era il tempo di aspettarli, bisognava risalire in fretta, e c'era bisogno di un attaccante. Presero me da Taranto e poi il resto è storia."

Ricordiamo che nonostante le annate "trionfali" in C2 e in B fu necessario un cambio di allenatore in entrambe le stagioni per invertire la rotta.


In serie B arrivò Emiliano Mondonico, personaggio immenso per la storia della Fiorentina e del calcio italiano, ce lo racconti?


"Prima di tutto il mister era un tifoso viola, e per questo era un passo davanti a tutti. Quando è arrivato in sostanza ha coronato il suo sogno, allenare la sua squadra del cuore. Era una persona pragmatica, che sapeva quello che voleva, e in una stagione nella quale di positivo c'erano stati solo i miei gol ha riportato prima di tutto tranquillità. Dal suo arrivo cominciammo a fare una rimonta pazzesca che ci portò poi a quel famoso spareggio col Perugia. A ripensarci adesso, da quando eravamo ripartiti dalla C2 nessuno si sarebbe aspettato una nostra risalita in così poco tempo."


Ci racconti l'episodio della promessa fatta da Angelo Di Livio a Batistuta, quando tornò per un'amichevole a Firenze, ai tempi della C2?


"È stato un bellissimo momento, innanzitutto perché l'ho conosciuto. Era un attaccante che io avevo ammirato, e dal quale rimanevo sbalordito ogni volta, perché segnava in ogni modo. Chiese a Angelo (Di Livio ndr) di promettergli che avrebbe riportato la Fiorentina in Serie A, e poi chiamò me perché giocavo nel suo stesso ruolo e avevo segnato tutti quei gol. E quindi nulla, promessa mantenuta!"


La Fiorentina è di nuovo in Serie A, e il 12 settembre 2005 c'è anche l'esordio per Christian nella massima serie.

Al di là di com'è andata la partita, ci racconti dell'emozione dell'esordio, cosa hai sentito?


"L'emozione è stata sicuramente tanta, ma più che l'emozione sono i ricordi, che ti fanno pensare a quel bambino che giocava per strada, che la domenica guardava 90° Minuto e poi La Domenica Sportiva, che ammirava grandi campioni, e sognava di essere come loro. Più che l'emozione in sé di entrare all'Olimpico (la partita era contro la Roma, ndr) sono i ricordi che ti fanno emozionare. Poi purtroppo l'emozione si tramutò in pianto per l'infortunio."


A Firenze però per Riganò non c'è più spazio. Prima un prestito all'Empoli e poi a Valencia, acquistato per 800 mila € dal Levante. Com'è stato andare a giocare all'estero?


"Ti dico la verità, sarei rimasto volentieri per più tempo, quello spagnolo è un calcio diverso da quello italiano, più spensierato, meno tattico. Se una squadra prende 4/5 gol è normale, magari ti applaudono pure. Putroppo mi stirai e stetti un po' fuori, ma riuscii comunque a giocare contro il Barcellona di un giovanissimo Messi. A gennaio purtroppo abbiamo dovuto abbandonare la nave in molti perché c'erano problemi societari."


Dopo esperienze in piazze importanti come Siena Terni e Cremona (di nuovo alla corte di Emiliano Mondonico) la chiusura di un cerchio, il ritorno al calcio di provincia, alle serie inferiori. Christian, cos'è per te il calcio di provincia?


"Il calcio di provincia per me è il calcio sognato dai bambini innanzitutto. Forse oggi un po' meno, ma comunque un bambino spera di arrivare a giocare "come i grandi". Il calcio di provincia è quel calcio fatto di fango, di calci, di qualche schiaffone preso e dato pure. Sono quelle emozioni che un bimbo non vede l'ora di provare. Ai miei tempi non c'era la Scuola Calcio, si poteva giocare dai 15 anni in sù, e quindi io ho patito fino a quell'età lì.

Il calcio di provincia alla fine fa il calcio grande, e come dico sempre questo calcio minore andrebbe finanziato, e bisognerebbe avere la voglia, anche se ce n'è molto poca, di venire a vedere in queste categorie minori.


Al giorno d'oggi ci sono squadre in Serie A che hanno rose composte da 20 stranieri, e questo non va bene, anche perché si ha paura di pescare nelle categorie inferiori, e si vanno a prendere stranieri anche più scarsi di gente che gioca in Serie C o in Serie B. Non dico di andare a guardare in Prima Categoria, ma dalla D in sù andiamo a guardare. Chi meglio di me lo sa?"


Parliamo di questa Fiorentina: Nzola e Beltrán stanno avendo problemi, e questo è sotto gli occhi di tutti. Quali difficoltà stanno avendo secondo te?


"Come dico sempre l'attaccante va supportato, però è anche vero che loro si devono dare una mossa. Non sono messi male come attaccanti, hanno caratteristiche interessanti e sulla carta potrebbero giocare anche insieme. Purtroppo non mi posso soffermare solo su loro due perché il problema del gol persiste da anni, e anche chi c'era prima e aveva anche un nome più importante non aveva fatto faville. Mi auguro che la squadra si metta a disposizione, ma soprattutto che loro due si mettano a disposizione della squadra e che trovino i gol nel momento giusto."


È il momento di salutarci, dopo una bellissima chiacchierata, ma prima un'ultima domanda...


Christian, c'è un attaccante di oggi, anche delle serie inferiori, in cui ti rivedi?


"Spero mio figlio (ride, ndr). A parte gli scherzi non vado a vedere molto il calcio minore, perché quando non alleno ne approfitto per lavorare. Però quando vedo ad Agliana un attaccante come Bocalon, che dopo aver giocato in squadre importanti ha ancora voglia di lottare e fare gol, veramente mi fa sorridere perché pensi che il calcio non ha età e soprattutto non ha categorie."


Semplicemente, Christian Riganò.

© Articolo a cura di Michele Stianti


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