Dopo una stagione senza neanche un gol con la maglia della Juventus, Moise Kean alla Fiorentina è letteralmente rinato.
L'attaccante italiano - vero grande ex del big match di Torino di domenica sera - sta conquistando tutti a suon di gol e di prestazioni convincenti in maglia viola, entrando sin da subito nell'idea di gioco di Palladino.
A riguardo ha parlato al Corriere della Sera attraverso una lunga intervista, ripercorrendo i suoi passi nel mondo del calcio, soffermandosi anche su quanto accaduto extra-campo con la nascita del primo figlio Marley e l'uscita del suo primo album musicale, intitolato "Chosen".
Le sue parole al Corriere:
«A Torino ero precipitato nel buio. A Firenze sono tornato a rivedere le stelle. L’anno scorso gli infortuni hanno pesato tantissimo e mi hanno condizionato. Ho perso tante belle occasioni, compresa la possibilità di andare a gennaio all’Atletico Madrid. È stato un anno difficile, soprattutto dal punto di vista mentale. C’è chi cade in depressione, io invece ho reagito. Firenze mi ha fatto rinascere».
Come è nata in estate l’ipotesi Fiorentina?
«L’ho scelta perché mi assomiglia, è ambiziosa come me. È anche per l’orgoglio della sua gente per i propri colori. Firenze è calda e passionale e ha avuto, nella sua storia, grandi attaccanti. Quando è capitata l’opportunità, Vlahovic mi ha incoraggiato»
Palladino che ruolo ha avuto nella decisione?
«Anche lui è ambizioso. Mi voleva già al Monza lo scorso gennaio, ma non è stato possibile. È una grande persona, per me più di un allenatore».
Avete vissuto momenti drammatici quando Bove è stato male contro l’Inter e poi bellissimi quando invece è venuto a trovarvi.
«Quella domenica mi è passata la vita davanti. Edo era vicino a me, mi sono spaventato tantissimo quando è crollato. Per fortuna adesso è passato. È tornato persino più sorridente di prima. Lo abbiamo abbracciato e coccolato, siamo un gruppo unito, ci vogliamo bene, questo ci ha aiutato nei momenti di sconforto».
Facciamo un passo indietro: ha cominciato con l’Asti, poi al Toro e da lì alla Juventus che ritrova domenica.
«Nessun astio. Se non avessi scelto di andare alla Juve, oggi non sarei qui e non avrei fatto questo tipo di carriera. Il Torino è una grandissima società, però non ho resistito al fascino dei bianconeri. Ero un bambino e a quell’età non stai tanto a guardare la rivalità tra le squadre. Ma ho scelto bene: dovevo fare quel salto. Sentivo dentro di me la voglia di provarci».
È andato via di casa a 13 anni.
«E sono dovuto andare in convitto. Mamma non voleva mandarmi perché fuori casa facevo i danni. Lasciarmi andare per lei era difficile. Alla fine, l’ho convinta e adesso è fiera di avermi ascoltata».
Il calcio è umorale: basta una partita per cambiare giudizi e prospettive. Come riesce un ragazzo giovane a rimanere equilibrato in un mondo così schizofrenico?
«Dipende dalla persona. Il calcio è come la vita: non può andarti sempre tutto bene, non puoi alzarti la mattina e sperare che non ci siano difficoltà. Devi essere pronto a affrontare qualunque ostacolo. Tante volte la gente non capisce, ma anche i giocatori sono esseri umani, con difetti e sensibilità con cui fare i conti».
Lei ha avuto allenatori di grande livello, da Allegri a Mancini, sino a Spalletti. Chi è quello che le ha lasciato di più?
«Tuchel al Paris Saint Germain. Quando si è fatto male Icardi, ha chiesto di me e ero scioccato all’idea di andare in una squadra con così tanti campioni. Tuchel mi ha fatto subito debuttare e all’intervallo, dopo un primo tempo così e così, è venuto da me per incoraggiarmi. Alla seconda partita, la prima al Parco dei Principi, l’ho ripagato con una doppietta. Lui mi ha dato sempre fiducia e mi ha insegnato a amare una grande città come Parigi. E tutto in poco tempo perché dopo Natale è arrivato Pochettino».
La fiducia di un allenatore è molto importante…
«È di più, è tutto. La cosa più bella del calcio. La stessa fiducia che mi sta dando adesso Palladino».
A Parigi ha giocato con i più forti, Mbappé, Neymar…
«Kylian e Ney sono bravissimi ragazzi. Ma il più forte è Cristiano Ronaldo. Mi ha insegnato a migliorare sui dettagli».
Il razzismo come lo vive? È stata dura?
«Il razzismo è dappertutto, in Italia e anche all’estero. Ho subito tante ingiustizie, soprattutto da piccolo».
La Nazionale ritrovata. C’è la sfida all’ultimo gol con Retegui…
«La Nazionale è un onore e essere in competizione con Mateo mi motiva ancora di più. Lui segna tanto, ma anche io so cosa posso fare».
Ha scelto la maglia azzurra sin dalle giovanili…
«L’ho scelta perché sono nato qui ed è giusto rappresentare il Paese in cui sei nato. Anche se il mio sangue è ivoriano e non lo dimentico».
Crede in Dio, la fede l’ha aiutata?
«Tanto, tanto. Quando ero piccolo mia mamma mi portava in chiesa, anche quando non volevo. Ora la ringrazio. E da quando sono alla Fiorentina, la fede l’ho messa ancora più in pratica».
Perché adesso di più?
«Perché ho deciso di cambiare molte cose. Ho smesso con un certo tipo di vita per sentirmi più libero mentalmente. Perché se trovi Dio trovi pace. Ed è quello di cui avevo bisogno»
C’entra la nascita di suo figlio Marley?
«Mi ha cambiato tanto. Lo adoro, penso sempre a lui, torno a casa, lo abbraccio e lo coccolo. Mi sento responsabile di un’altra persona. Mio padre non c’è stato per me e non voglio fare gli stessi errori. Non deve vivere quello che ho vissuto io»
Ha inciso un disco, Chosen. Quando è cominciata la passione per la musica?
«È cresciuta insieme al calcio. A volte giocavo a pallone, altre mi concentravo sulle sfide di rap. Questo disco è un messaggio: vuol dire che devi inseguire le tue passioni. Se hai talento devi farlo vedere e dimostrare che nella vita puoi farcela, e puoi fare anche due lavori».
È la musica che l’ha fatta diventare amico con Leao?
«No, il calcio. Ci siamo conosciuti nelle Nazionali giovanili, spesso eravamo nello stesso albergo e tra noi è scattato subito il feeling. Leao e McKennie sono i miei amici più cari in questo ambiente. Con Rafa ho dei progetti musicali a cui stiamo lavorando. McKennie invece tira fuori il bambino che è in me: ridiamo tantissimo, anche di cose stupide. Altrimenti la vita diventa triste»
Il balletto dopo ogni gol?
«Il Griddy. Quest’anno lo faccio di più, ma lo facevo già a Torino. Festeggio così perché il gol è gioia e liberazione».
La Juve è una realtà mondiale, la Fiorentina sta crescendo.
«Il centro di allenamento alla Continassa è bellissimo e funzionale ma il Viola Park è qualcosa di meraviglioso. Perfetto per lavorare. In un ambiente così non puoi che fare bene. Bisogna fare un applauso al presidente Commisso, sta dando tanto amore alla Fiorentina».
Due sconfitte dopo otto vittorie di fila: siete preoccupati? Dove potete arrivare?
«Ho ottime sensazioni, stiamo facendo un bel percorso. Abbiamo fame e non ci vogliamo fermare».
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